venerdì 21 dicembre 2012

Mine-Haha: la danza senza senso cosciente del fiore sacrificale

Mine-Haha è una parola indiana (dakota) che significa "acqua ridente" (germanizzazione del nome femminile americano Minnehaha). 
A cosa ci introduce?
A un romanzo che ne porta il titolo.
Sottotitolo: "Dell'educazione fisica delle fanciulle".
No, non spaventatevi, non è niente di erotico o scandaloso da questo punto di vista. In un certo senso è molto peggio perché, nella perfezione della disciplina corporea cui le fanciulle sono sottoposte, si cela un gravoso segreto che riguarda il mondo che le ha generate, allevate e che è destinato a divorarle.



Curiosi?

L'autore è Frank Wedekind. Rimpiango di non essere una esperta del mondo drammatico (ma prima o poi la recensione su "Aspettando Godot" arriva, devo solo trovare il coraggio di affrontare un testo così.... così... sublime). Attore, drammaturgo e scenografo. Nato nel 1864 e morto nel 1918, leader nel teatro d'avanguardia tedesco fino alla prima guerra mondiale (cui era fermamente contrario), autore scandaloso e irritante per il buon ambiente borghese, ci ha regalato, oltre al teatro, proprio "Mine-Haha". 


Il libro è tessuto sulla finzione di una lettrice che, ammirata del lavoro di Wedekind nella piece che gli diede successo a Monaco nel 1906 ("Risveglio di primavera"), decide di affidargli un manoscritto con le sue memorie personali, riguardanti un luogo misterioso in cui, bambina piccolissima, giunge racchiusa in una cesta. Seguono anni di educazione nella danza, nella musica e negli esercizi ginnici. Crocevia tra teatro, circo e raffinatezza artistica. Le più piccole sono affidate alle più grandi, in un ambiente di totale isolamento, di amicizie e di rapporti esclusivi con il proprio sesso. 

La descrizione di quel mondo ripiegato su se stesso e funzionale al mondo esterno, che pur è completamente assente, è perfetta. Senza la minima sbavatura il lettore si ritrova nei ricordi di questa giovane che da bambina diviene adolescente, che esercita la bellezza e la grazia dei movimenti, che è esclusivamente corpo e non conosce affatto la finalità di quell'esercizio, fino al giorno in cui il mondo chiederà il suo tributo e verrà introdotta nel Teatro, dove insieme alle altre, ogni sera, si esibisce per un pubblico di cui non riesce a distinguere niente, se non le risate, e i rumori.

Helene Engel, così si chiama l'anziana signora 84enne che donerebbe il manoscritto a Wedekind, narra di quel periodo della sua vita in cui è stata artista di gesti di cui non conosce il significato e il senso. Lo fa con la maturità e il distacco di una donna al termine dei suoi giorni. Sappiamo che è viva ed è sopravvissuta al giorno in cui il manoscritto si interrompe, proprio sull'altare (sacrificale? festivo? orgiastico? nuziale?), simbolo di un trapasso e di una iniziazione che, paradossalmente, invece che portare a viaggi in altri mondi radica le ragazze nel mondo, sottraendole al non-luogo in cui hanno passato i primi anni della loro vita.

Il romanzo è seguito da un lungo testo di Roberto Calasso, che aiuta a focalizzare alcuni aspetti mitologici, sociali ed economici (anche riguardanti la mitizzazione marxista e la genealogia della società borghese).

Da questo libro è stato tratto un film, nel 2005, recante titolo "The fine art of love: Mine Haha", per la regia di Irvin John. Non sono ancora riuscita a vederlo ma, da quello che ne ho letto in giro e nei riassunti della trama, ho visto che l'aspetto sessuale viene fortemente inserito e sottolineato, con una caratterizzazione chiusa e repressiva del mondo in cui cresce Helene, fortemente tinto di saffismo.
.... Anzitutto, nel romanzo è chiarissimo che chi si macchia anche solo dell'andare a trovare un'amica durante la notte, in privato, viene punita in modo pesante e definitivo. Inoltre, la componente sessuale è presente, sì, nel romanzo, ma come un aspetto essenziale della crescita e dello sviluppo, e tutto gioca proprio sul fatto che è represso nel senso che è totalmente rimosso: non ci sono occasioni, non ci sono esempi o modi di esplorare se stesse come polo d'un atto d'amore fisico. Con il loro corpo, le ragazze danzano e si esibiscono. A mio avviso, l'operazione di Wedekind è estremamente più raffinata di quanto la sceneggiatura sia riuscita anche solo vagamente a intuire, visto la profonda trasformazione e sacralità di cui sono investite le ragazze.
Sacro che se, certamente, non significa idealizzazione e rarefazione, espunzione della sensualità, la porta ad esprimersi a tutt'altro livello, e in modo non consapevole. E' per gli spettatori che i corpi, levigati dall'esercizio costante e ossessionante, possono essere sensuali. E le ragazze sono i loro corpi, e niente altro.
La particolarità del libro di Wedekind è l'intensità estrema di cui carica la corporeità (si badi bene: non parlo neanche di amicizia; c'è ammirazione, legame, ma niente che riguardi le emozioni, si vive quasi un eterno presente), il simbolismo quasi folle e maniacale dell'organizzazione sociale e artistica cui accenna, e di cui non riusciamo mai a vedere un volto definitivo, e dunque non possiamo dare una interpretazione, se non univoca, almeno unica e coerente.
Pertanto, l'impostazione morbosa del film mi sembra, da una parte, troppo "pesante" e fuorviante e, dall'altra, decisamente troppo leggera per il livello di profondità cui Wedekind pone tutto il discorso.

Ho trovato le immagini del film, ma non le ho inserite.
Lascio che le parole siano acqua scrosciante e vi invitino a prendere questo piccolo testo, che lascerà sicuramente il segno: affascinante, inquietante e misterioso.



Titolo: "Mine-Haha".
Autore: Frank Wedekind.
Editore: Adelphi.
Pagine: 124.
Prezzo: 8,00 euro.


@ Carla Righetti per Dita d'Inchiostro.

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