Lascia che in diversa musica racconti
di me vivo tra le vive cose
lascia che io sia il tuo miglior
sguardo
il tuo cuore e le parole che scegli
oggi il vento autunnale spoglia gli
alberi
dei ricordi ardenti dell'estate
a terra li confonde, ma noi sappiamo
che ciò che è narrato a noi rimane.
Stefano Benni mette in musica una
nuova melodia, plasmandola in parole di pura delizia: conoscevo lo
scrittore sin dai tempi che una supplente di liceo mi consigliò
Elianto, uno dei romanzi che ho più amato, in quegli
anni. L'unico che per la forma, lo stile e il carattere dell'autore,
abbia davvero bevuto e sorseggiato, parola per parola, senza se e
senza ma, il racconto di vari personaggi stranissimi e del bambino
che tutti loro si ritrovano a dover salvare, affinché lui, poi,
salvi tutti loro (mi fermo qui perché rischierei di scrivere tutto
di Eliano e poi dirvi: "bene, capito che autore è? Il romanzo
di cui volevo parlarvi ha questa atmosfera di incanto e volo).
Con grande amore vi presento dunque la
recensione della sua ultima opera. Dopo la recensione di Daniela sul
romanzo di una ragazza esordiente (Comunque vada non importa,
sentite già come suona bene il titolo, ma mi fermo qui, dategli
un'occhiata e fiducia!), tocca a me preparare qualcosa di buono cui
non so proprio resistere, una di quelle delizie che stai ore e ore a
cucinare e poi mangi nel giro di poche ore.
Di tutte le ricchezze lo
trovate in libreria tra le novità, con una sgargiante copertina
rosso tango e, disegnati, un uomo di una certa età e una bellissima
giovane dai lunghi capelli biondi. Lui sembra proprio un professore,
vero?
Avrei preso il romanzo sia per l'autore
che per la copertina. Eppure, il motivo vincente che me l'avrebbe
fatto prendere in ogni caso (anche rivestito di vetro e scritto da un
Anonimo), è ben altro. Ovvero, che il Professore protagonista
vive vicino a una selva, tra gli Appennini, e si chiama
Martin. Ora, una delle primissime cose dette, presentandosi,
sono tutti i possibili richiami a vari "Martin" e al
"martin pescatore", ma non a Martin Heidegger. Il
richiamo è sottile e implicito e, lo dico fuori dai denti, a me
Stefano Benni piace perché dà le ali per volare e i vuoti
d'aria per cavarsela.
Che?, direte voi, un romanzo su Martin
Heidegger o molto filosofico? La prima è sbagliata, la seconda è
giusta, se per filosofia intendiamo il sapersela vivere e
godere bene. Ma, a pensarci bene, anche la prima non è poi
così sbagliata, Benni si limita a offrire al lettore uno scorcio per
il cuore, la mente poi può pensare quello che vuole.
Martin è stato un Professore importante,
famoso per aver svolto uno studio importante su un poeta (la
Dichtung tanto meditata da Heidegger non
c'entrerebbe nulla, signor Benni? Io la adoro), di nome Domenico
Rispoli, detto il Catena. Martin si presenta così: "sono
professore in pensione, poeta per un solo libro e saggista prolifico
e pedante". In una riga è condensata tutta l'ironia di cui
Martin è capace, che rivolge verso il mondo, che conosce in modo
"consumato", e verso se stesso, che pensa di conoscere
altrettanto bene.
Adoro Benni?, l'ho detto? Lo adoro
perché, nonostante qualche estremizzazione (il professore tende a
una sinistra culturale, brillante e limpida), tutto di lui risulta
naturale, ed è sempre ironico. Lo stesso Martin è un punto di vista
sul mondo, privilegiato ma non esclusivo, e in alcuni momenti si
sente la carezza tenera dello scrittore che osserva il personaggio
che osserva se stesso. Borgocornio, così si chiama il paese
più vicino, è un posto tutto particolare, con una chiesa affrescata
nel Quattrocento e la campana Puttana, che rintona solo quando
qualcuno, nei paraggi, dice la verità. E a Borgocornio ci sono
alcuni misteri che il professore sarà spinto a meditare: leggende
che coprono verità scomode e molto tristi.
E molti devono averlo veduto / nella sua pazza discesa di lassù in cima una sera / traverso campi e muretti, attraverso ogni cosa / tracciare con la lanterna anelli di luce.
Appena dopo la poesia, il passare
del tempo è un grande protagonista del romanzo. Il
professore ha 70 anni, ha esperienza di cui ha saputo fare tesoro, e
con tutto il disincanto che si porta dentro va a sbattere, di colpo,
contro una donna che risveglia la sua vita. Anche se personaggio
estremamente positivo, amante della natura e degli animali, colto, il
professore non è perfetto, specialmente nei legami più cari. Ad
esempio, non riesce a partire verso un' "isola" dove lo
aspetta un ex collega che lo aveva invitato (con una certa premuta),
non riesce mai ad andare a trovare il figlio musicista. Una
incompletezza che getta un'ombra di tristezza e apatia nella sua
vita, che Martin ha finito per lasciarsi scivolare addosso, più che
afferrarla e tenerla tra le braccia.
Una trama non nuova, assolutamente, ma
raccontata in modo musicale e magnifico, una intera orchestra
che non si scatena quasi mai, che modula quasi a bassa voce, con
delicatezza. L'ironia del Benni aiuta a scardinare l'intreccio da
quello che poteva rischiare di essere "melenso e barboso",
condendo gli ingredienti principali con molti altri dettagli.
Il terzo grande protagonista è l'amore.
Amore per la vita, per una donna. Amore per i romanzi, quello vero
che te li fa vivere, fino a incarnarli davvero (è il
caso di Notti Bianche di Dostoevskij).
L'amore degli uomini è uno specchio rotto / che non rimanda più la tua immagine / è come un libro di cui vediamo / la copertina, non più le pagine.
Da mille pezzi vediam persone / la voce e il volto non ricordiamo / lento lo specchio si ricompone.
L'amore degli uomini è uno specchio rotto / forse è svanito, cerchiamo invano / lui è sempre lì, al solito posto.
Gli animali, sono fuori classifica:
Martin parla con loro, che sono la sua coscienza e la sua anima.
Il libro è un romanzo, raccolta di
poesie e, in alcuni tratti, abbozzo di una sceneggiatura teatrale. Lo
stile varia senza strappi, sempre funzionalmente al dover esprimere
qualcosa.
Questo libro è da leggere perché Benni
non ci risparmia lo schifo del mondo,
specialmente di quello accademico e dello spettacolo: l'anziano
professore è una macchia bianca, in questo onesto fino in fondo. Sa
come muoversi ed è generoso, così ricco da poter regalare
cose grandiose senza battere ciglio. Un gentiluomo, insomma,
che pecca di una certa vigliaccheria (che lo ha portato a grossi errori e a un enorme rimpianto nel passato), una mancanza di vita che rischia, tutt'ora, di
condannarlo a una morte ben peggiore che quella fisica. Si tratta dei
limiti dell'umano, della ragione perchè si sceglie di
stare con gli altri e viverla insieme, questa vita, del saper
cogliere e del saper lasciare andare, con maturità e
dolcezza, amando senza voler possedere.
Non vi dico niente degli altri personaggi
perché il Benni è troppo bravo a presentargli, non voglio rovinarvi
certo la sorpresa. C'è l'odiosissimo Remorus, un uomo viscido
e meschino che ha fatto una grande carriera, c'è Ombra, il
fedelissimo cane di Martin, il Torvo e la Principessa del
Grano, e l'ex collega di Martin, Giuseppe Marras, che non
vediamo mai ma resta nell'anima, l'esimio professor Ducati che
dall'università lancia veleno contro il lavoro di Martin intorno al
Catena, e tutta la combriccola tragicomica del paese, il teatrino
della politica e del potere, che non si distingue in nulla dal
mondo della cultura, che ne risulta corrotto fino alla radice.
Un realismo incisivo come una ferita, che
però non ha mai la parola definitiva, anzi.
Signori della corte, lasciatemi
parlare
so che mi giudicherete, e che vi piace
solo la mia morte dovrebbe giudicare
ma voi lo fate, e rimanete in pace.
Spesso usai gli altri, a volte con
ferocia,
li calunniai, torvo tutti li odiai
e sempre ogni volta cercai
di riparare questo mio sentimento
ora non provo più questo tormento.
Signori della corte, che assolvete
il più avido mercante, e condannate
la strega giovane, e chi ruba per fame
della paura altrui voi fame avete.
Guardate giudici, Catena son chiamato
al mio sguardo furioso incatenato
rinchiudetermi, fate ciò che vi piace
io sedevo una volta tra di voi
ma vi guardo negli occhi e non avete
sulla mia vita nessun altro potere
che non sia quello tristo della scure
non vi chiedo conforto né pietà
io sarò morto, voi lo siete già
siete in catene. Ora ridete pure.
Il titolo del romanzo viene da una poesia
del Catena.
Non siete curiosi di leggerla?
Bene, andate a comprarlo!!
E, se siete curiosi di sentire le parole dell'autore, ecco qui l'intervento di Stefano Benni a Che Tempo che Fa (Rai).
Titolo: Di tutte le
ricchezze.
Autore: Stefano Benni.
Editore: Feltrinelli.
Pagine: 205.
Prezzo: 16,00.
@ Carla Righetti, Dita di Inchiostro.
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