La
vera bellezza impone il silenzio (...). All'epoca in cui questa
credenza non era ancora stata superata, il campo d'azione della
critiva veniva automaticamente definito. Essa veniva relegata
all'imitazione della bellezza (...). In altre parole, come la stessa
bellezza, la critica aveva lo scopo finale di imporre il silenzio
(...). Poi, l'effetto del silenzio in quanto risultato della critica
deve necessariamente provocare l'allucinazione, ora, che la bellezza
sia esistita senza ombra di dubbio in questo luogo. Per così dire,
occorreva creare uno spazio che sostituisse il posto occupato dalla
bellezza. Solo lì, per la prima volta la critica poteva contribuire
alla creazione.
Colori
proibiti
: in giapponese
禁色,
Kinjiki.
Il primo kanji significa "proibiti" e il secondo "piaceri
erotici" o, in alternativa, "colori". Dopo le
Confessioni di
una maschera,
primo romanzo pubblicato da Mishima, ecco qui una storia fitta di
sfumature dello spirito e di incontri clandestini, tra locali "di
genere", parchi per incontri fugaci, ville di lusso per feste
private, in cui uno dei protagonisti del romanzo si muove, conducendo
una seconda vita rispetto a quella che tutti credono sia la sua unica
possibile
esistenza. Senza mezzi termini, Mishima offre uno spaccato
della società omosessuale
della prima metà del Novecento, laddove con Confessioni
di una maschera
si era fermato alla presa di coscienza, da parte del protagonista
(romanzo parzialmente autoviografico), della natura dei propri
desideri.
Si
può dire quindi che con Kinjiki
Mishima intenda andare
al di là della prima consapevolezza,
costruendo un intreccio
su più livelli
e dando anche voce ad alcune sue considerazioni sulla vita e
sull'arte, che erano andate maturando in quel periodo grazie ai
contatti con il grande romanziere Yasunari
Kawabata
(in questa recensione seguiremo l'uso occidentale per i nomi, dunque
prima il nome poi il cognome).
Ispirandosi
al romanzo di Mishima, Tatsumi
Hijikata
presentò in un festival del 1959 il primo spettacolo del suo
movimento d'avanguardia, il butoh,
intitolandolo
proprio Kinjiki.
Lo spettacolo risultò così osceno per la platea che ne venne
interrotta l'esecuzione, ma noi riprendiamo questo spirito di
avanguardia, espressione e purezza dei movimenti, utilizzandone le
immagini per la presente recensione (oltre a ricorrere ad alcuni
scatti fatti da Barakei,
il libro fotografico del 1962 realizzato da Heiko
Hosoe).
Kinjiki
è,
per l'esattezza, il terzo romanzo pubblicato da Yukio
Mishima,
dopo Confessioni
di una maschera
(1949) e Sete
d'amore
(1950). Il nome di nascita dell'autore era, invero, Kimitake
Hiraoka:
un giovane uomo uscito dall'Università Imperiale di Tokyo nel 1947,
dopo una carriera di studi all'insegna dei massimi risultati, al
punto da ottenere un posto come funzionario nel Ministero delle
Finanze. Si dimise
dal prestigioso posto di lavoro durante il primo anno, in conseguenza
di un forte esaurimento dovuto a una doppia
vita.
Di
giorno, infatti, Hiraoka studiava legge.
Di
notte, scriveva.
Una
"brutta abitudine" che il ragazzo aveva portato avanti sin
da quando aveva dodici anni (partecipando anche alle diverse attività
letterarie degli istituti). Nel 1946 era avvenuto il primo incontro
con il grande scrittore Yasunari Kawabata,
Pubblicato tra il 1951 e il 1953, in due volumi. Nel 1952 Mishima
aveva fatto un viaggio in Europa, con un soggiorno a Parigi e in
Grecia, e all'interno del libro ci sono alcuni riferimenti all'ideale
di bellezza greco, in particolare la bellezza virile ed etica
fortemente sentita ed esaltata da Sparta.
"Poichè
la moralità antica era semplice e vigorosa, la nobiltà era sempre
al fianco della raffinatezza e il ridicolo al fianco della volgarità.
Oggi, invece, la moralità si è staccata dall'estetica. A causa di
meschini principi borghesi, essa si è schierata con la banalità e
con il minimo comun denominatore. La bellezza è divenuta una forma
di esagerazione, superata, ormai è o nobile o ridicola. Di questi
tempi le due cose hanno semplicemente lo stesso significato. In ogni
caso, come ho già detto prima, un immorale pseudomodernismo e un
immorale pseudoumanesimo hanno propagato l'eresia della venerazione
degli umani difetti"
L'appropriazione
di un paradigma occidentale, in Mishima, in questo caso è funzionale
a scolpire, in modo plastico, la figura fisica
del giovane protagonista, ma
non manca affatto
di ricordare, correttamente in questo caso greco, che la bellezza
andava di pari passi a un'etica
(in greco il termine è kalokagathia,
ovvero "bellezza e virtù"). Il lettore si trova di fronte,
dunque, a elementi ben noti della cultura occidentale, così come
immerso in una trama che ha tutto il sapore di una conoscenza
approfondita dell'Occidente da parte di Mishima.
Il
plot è diabolico,
come per il tardo
Romanticismo
e il Decadentismo
europeo, in particolare francese. Un uomo anziano propone a un
giovane ragazzo un piano per far soffrire
le donne che l'uomo più grande gli indicherà, farle soffrire
profondamente
per vendetta.
Tutto il romanzo vive di queste intenzioni dell'anziano e delle mosse
del ragazzo, che dapprima ubbidiente cercherà sempre di più una via
propria, di liberazione ed espressione della sua omosessualità,
attraverso una doppia vita, e di emancipazione dalla guida
dell'adulto che lo ha spinto verso una via di crudeltà.
La
ricerca
della perfezione
è ossessiva nell'anziano, mentre il ragazzo non deve cercarla perchè
la possiede. Manca però della consapevolezza
di possederla, e questo richiederà tutte le relazioni che
intreccerà, con le donne e con gli uomini, e chissà se questo
da solo basterà.
Il
romanzo scorre
in modo chiaro tra profondi mulinelli.
Mishima mostra una padronanza raffinatissima di trama e intreccio,
concentra l'energia straripante delle passioni umane in modo netto e
mai unilaterale. Se volessimo ridurlo a dei "temi",
potremmo elencare: giovinezza e vecchiaia, vita e arte, uomo e donna,
natura e spirito, umanità e non umanità, il ruolo e la
codificazione sociale, il Giappone prima e dopo la modernizzazione,
umanità e divinità (da intendersi come ciò che supera il
semplicemente umano, per una qualche caratteristica).
"Tu
pensi di essere in grado di amare spiritualmente le donne, ma è una
menzogna. Nessun essere umano è in grado di mettere in atto un
sotterfugio tanto abile. Tu non sai amare le donne nè carnalmente nè
spiritualmente. Regnerai su di loro allo stesso modo in cui la
bellezza della natura regna sull'umanità, e cioè grazie alla totale
assenza di spirito".
(Shunsuke a Yuichi)
La
trama,
in breve, è la seguente: Yasuko Sagawa frequenta il vecchio
scrittore Shunsuke Hinoki, senza esserne innamorata; il suo cuore è
legato a quello di Yuichi Minami, un ragazzo di estrema bellezza che,
a insaputa della giovane, è invece omosessuale. Shunsuke segue
Yasuko in una località marina, la trova in compagnia di Yuichi che,
la sera stessa in albergo, cerca un aiuto nell'uomo anziano
confessandogli di non amare Yasuko, di avere gusti omosessuali,
cercando quindi un consiglio su come uscire da quella situazione.
Shunsuke,
per tutta risposta, gli offre un prestito in denaro e la propria
assistenza se Yuichi acconsentirà a seguire il suo piano. Yuichi ha
una madre molto malata (la vedova Minami), finanze provvisorie e una
incoscienza di fondo delle proprie potenzialità e della propria
bellezza. Shunsuke riesce a conquistare la sua fiducia quel tanto che
basta per siglare il patto. Così Yuichi si sposa, con Yasuko che
crede d'aver coronato ogni sogno di felicità. Shunsuke però non
vuole vendicarsi solo di Yasuko, ma anche di altre donne: in primis
la signora Kaburagi (moglie di un Conte) e la bella e giovane Kyoko.
Yuichi si avvicina, nel frattempo, alla società degli omosessuali,
una società segreta con i suoi codici e i suoi costumi (e un suo luogo di ritrovo, il caffé Redon), si lascia
trasportare dai vortici delle relazioni estemporanee, danzando tra
questa vita sommersa, i suoi doveri di marito e le relazioni
clandestine con le altre due donne, finendo anche per scoprire che il
marito di una delle due è come
lui.
Le scene sociali e intime si susseguono, mai scontate, ben scandite.
Yuichi cresce e cerca la propria autonomia, ma nulla varrà a
liberarlo dal destino che si porta dentro. L'ultimo atto starà a
Shunsuke, che trova in Yuichi il completamento (e dunque la
perfezione) della propria opera e dunque, di riflesso, di tutta la
propria esistenza.
Infatti, quando aveva visto Yuichi,
aveva deciso di mettere un piede nella bara pur continuando a vivere
nella vita reale. Se, mentre si dedicava a creare un'opera, poteva
vedere il mondo con tanta chiarezza e l'umanità con tanta
precisione, era solo e soltanto perchè, in quegli stessi istanti,
egli era morto. (...) Come all'interno di una sua opera, Shunsuke
aveva messo a dimora il suo spirito nel corpo di Yuichi ed era
fermamente risoluto a guarire da quelle cupe gelosie e quei rancori.
Shunsuke Hinoki. È uno scrittore
di grandissima fama, all'apice della sua carriera, adulato (e quindi
niente affatto compreso) dai critici, ricco e pienamente affermato
nella società letteraria giapponese. Ha sessantasei anni, tre
matrimoni miseramente falliti alle spalle e una vita passata ad amare
non ricambiato le donne, per via della sua bruttezza. Un uomo che
considera lo "spirito" sopra ogni cosa, che non ha voluto
sposare donne in grado di comprenderlo in quanto attratto solo
dall'estrema bellessa femminile, rappresentazione pura della natura
che lui, in quanto spirito, non poteva non ricercare. In un certo
senso, dunque, un uomo prigioniero di un aspetto orribile e di una
concezione della vita e dell'arte cui ha sacrificato ogni cosa, un
personaggio che, inizialmente, agisce per rancore e con calcolo.
Ma non un personaggio spregevole.
Nonostante sia lui a pianificare la
distruzione dei sentimenti e delle vite di tre donne, nell'insieme di
tutti gli eventi del romanzo si mostra crudele e vulnerabile al tempo
stesso (fragilità interiore di cui non c'è traccia in Yuichi). Le idee che lo guidano, che sono parte della sua essenza al
punto che non sapremmo immaginarlo senza di esse, fanno di lui un
uomo estremamente sensibile, ormai plasmato da tutti gli eventi della
sua esistenza, sensibile e conoscitore del cuore delle persone e non
disposto a concedere loro niente. La sua prima moglie è stata una
ladra, la seconda una pazza, la terza una infedele, ninfomane, che si
è suicidata col proprio amante per annegamento. Shunsuke, rimasto da
solo col cadavere della donna bellissima ora ridotta a un corpo
gonfio e irriconoscibile, preme una maschera del no sul viso
turgido, che si scompone "come un frutto troppo maturo".
(Per inciso, come non ricordare un bellissimo racconto di Kawabata,
La maschera mortuaria, che parla proprio di una maschera
funebre sul viso di una donna amata da tantissimi uomini e ora
restituita all'anonimato con una maschera senza bellezza?).
Questo passaggio rappresenta bene tutta
l'opera artistica di Shunsuke, che nei propri romanzi ha infuso tutto
quello che lui non sente, al punto da essere dichiarato, da alcuni
critici, femminista, lui che odia le donne! Per
compensare queste omissioni, tiene un diario in cui scrive in
francese, tutto quello che lo ossessiona, lo ferisce, che sente.
La summa del suo rapporto con Yuichi,
espresso dallo scrittore stesso, è questa:
Bando Tamasaburo, un Onnagata. |
"Lo
spirito e il corpo non riescono in nessun modo a dialogare. Lo
spirito può soltanto chiedere. Non può mai ottenere una risposta,
all'infuori di un'eco. (...) Lì ci sei tu, bella natura. Qui ci sono
io, brutto spirito. (...) L'amore non nasce che dalla disperazione.
La natura contro lo spirito: l'amore è un moto dello spirito verso
una cosa come questa tanto difficile da comprendere".
Yuichi Minami. Il bellissimo
giovane in grado di far impazzire donne e uomini per la sua bellezza.
Ha ventidue anni. Di lui abbiamo già accennato, e pensiamo che non
ci sia altro modo, per chi legge queste righe, che gustare da sé la
figura di questo giovane che scopre l'indifferenza, la crudeltà, il
distacco. Attraversa le prove delle relazioni con le donne (che ora
rifiuta nel profondo, ora si convince addirittura di amare!), delle
relazioni fugaci con altri omosessuali, come pietre di inciampo su un
cammino segnato da altre essenze. Narcisista (ricorda il protagonista
de La decomposizione dell'angelo, ultimo libro della
Tetralogia di Mishima), terribile, viene iniziato da Shunsuke
su una strada che, se porterà l'anziano scrittore alla pienezza e
alla massima espressione, condurrà Yuichi a essere più un angelo
della morte che una creatura di questo mondo. Ma cos'è questo
mondo?
Non cerca forse ciascuno la propria
felicità andando incontro alle proprie illusioni?
Se queste sono domande che Yuichi non si
cura neanche di porre, a conti fatti, chiudendo il romanzo ed,
eventualmente, rileggendolo (e si lascia rileggere molto
volentieri), Mishima già ci mette di fronte alla sensazione di
vuoto, dietro a tutte le gioie e le sofferenze dell'uomo. Yuichi è
una divinità che non può non comportarsi in un certo modo, nei
confronti degli altri, e in ultima battuta si tratta di una lotta
tra lui e Shunsuke. Perchè Yuichi verrà portato agli estremi,
dall'anziano romanziere, che lo spinge ad accettare la gravidanza
della moglie, cosa che orripila Yuichi. E Yuichi cercherà, senza
rancore (non si muove per impulsi e passioni violente), il modo di
ritorcere contro l'uomo tutta quella cattiveria, di catturare e
distruggere anche lui, soprattutto lui. Così come ha spezzato il
cuore a un ragazzo che gli chiede di scappare insieme, lontano, con
freddezza, perchè costui, riflette Yuichi, "sogna la
tranquillità, come le donne. (...) Ah! Se almeno quest'idiota avesse
avuto il coraggio di uccidere il padrino! Se lo avesse fatto, mi
sarei inginocchiato ai suoi piedi".
Yasuko Segawa. Diciannovenne, è
lei a portare Shunsuke a conoscere Yuichi. L'anziano scrittore la
considera "una giovane donna in grado di leggere un romanzo
semplicemente come una 'storia' ". Sposerà Yuichi, sarà
dapprima tormentata dalla paura che suo marito possa avere altre
donne nella propria vita, si convincerà poi della sua purezza, per
venire tragicamente smentita dagli eventi. Resterà incinta di lui,
cercherà di trattenerlo con questo, sperando di poter mettere al
mondo un figlio maschio che gli somigli. Arriverà all'abnegazione
massima pur di salvare il loro legame, pur di credere nel marito, e
riuscirà ad affrontare la scoperta della sua omosessualità, causata
da una lettera anonima, appena prima di ricevere una rivelazione
diversa, e ben peggiore, per bocca di qualcuno che, con altrettanto
spirito di sacrificio, è corso in aiuto di Yuichi per salvarne la
faccia di fronte a moglie e madre. Yasuko è la donna che matura
soffrendo, Mishima ce la mostra ogni tanto, e questo basta per
caratterizzarla nella sua dolcezza e nel suo amore non corrisposto
per il marito. Yasuko è cieca di fronte alla vera natura di Yuichi,
e questo non può che trascinarla in un baratro di sofferenza
destinato a non avere cura.
Andiamo infine (trascurandone alcuni interessanti ma secondari) a due personaggi di ben diverso stile, che terranno molta scena e costituiranno il nerbo della
seconda parte del romanzo, ovvero i coniugi Kaburagi.
Erano
le maniere in uso a corte quando si compie un atto spietato prendendo
a prestito la forza che deriva dall'innocenza innata della canaglia
appartenente all'aristocrazia e da una terribile indifferenza nei
confronti degli altri. La famiglia Kaburagi apparteneva all'alta
nobiltà di corte.
La signora Kaburagi e il Conte
Kaburagi. Il loro è un matrimonio basato sulla complicità,
senza rapporti sessuali: il Conte sfrutta la bellezza della moglie
per attirare amanti ingenui, da ricattare. Insieme conducono una vita
di coppia fatta di socialità e belle apparenze, finché qualcosa di
ben più profondo riuscirà a unirli. Il loro destino comune sarà,
infatti, quello di innamorarsi del giovane Yuichi: la signora
Kaburagi finisce nella rete di Shunsuke, il conte incontra Yuichi
durante una festa privata del loro ambiente. La signora Kaburagi si
innamora veramente di Yuichi, fino a scoprire la verità, in modo
molto banale ma anche tragico. A differenza dell'altra amante, Kyoko,
è una donna matura capace di sentimenti profondi, una donna di mondo
con il suo bagaglio di sofferenze, fiera e intelligente, ancora bella
nonostante non più giovanissima.
Kinjiki
fa del lettore uno spettatore. Si leggono in sequenza parola stampate
in nero su una pagina bianca, si dimentica completamente il bianco,
resta solo lo scorrere delle parole sul vuoto di una nostalgia appena
profumata di incenso, si scopre che nel nero sono trattenuti tutti i
colori e che, in realtà, si è immersi in acque bollenti delle
terme, tra vapori di sogno. Si cerca la realtà delle proprie mani ed
ecco, nei palmi, le lunghe e dense striature di qualcosa che lo
scrittore ha suggerito, inserito di nascosto, avvolto con cura e
celebrato con la delicatezza di antichi misteri. Le forme
in questo romanzo sono molteplici, e in alcuni punti esso non è
semplicemente un romanzo: proprio laddove vengono dichiarate le
"pedanti" considerazioni di un vecchio scrittore inacidito
dai fallimenti, in opposizione alla sacra e crudele innocenza della
giovinezza, si ritrovano echi di questioni che toccavano l'autore nel
profondo. Due poli che non dialogano (non c'è parità tra loro, c'è
la distanza incolmabile tra spirito e natura) e che sono a loro
volta, più che fini nascosti di una narrazione scelta ad hoc, attori
di un dramma la cui soluzione è questione di vita o di morte.
Riteneva
che l'opera d'arte contenesse la duplicità dell'esistenza. (...) Nel
momento in cui viene a contatto con un'opera antica, sia che si
tratti di un'arte spaziale o temporale, la nostra vita, prigioniera
dello spazio e del tempo contenuto in questa opera, si ferma o
abbandona la parte della vita presente che non riguardi quella
dell'opera d'arte. Viviamo un'altra vita, ma il tempo interiore che
consumiamo a vivere questa seconda vita è già stato ponderato e
risolto. È ciò che noi chiamiamo forma. (...) Se non che, in
generale, nelle esperienze e nelle influenze della vita la forma è
assente. (...) Però, nelle esperienze della vita reale c'è un'unica
cosa che davvero si avvicina all'esperienza interiore procurata
dall'opera. Cosa potrà mai essere? È l'emozione causata dalla
morte. (...) In Oriente, la morte è decisamente più vitale della
vita. L'opera d'arte, così come veniva intesa da Shunsuke. Era una
sorta di morte sublime, l'unica forza che permette alla vita di
sperimentare la trascendenza. (...) Provare lo spirito attraverso
l'assenza di spirito, provare l'idea attraverso l'assenza di idee,
provare la vita attraverso l'assenza di vita. Questa era la
paradossale missione dell'arte. Come conseguenza, era anche la
missione e il carattere della bellezza.
"La
bellezza è la natura che è negli esseri umani, la natura posta
sotto la condizione umana. È la bellezza che controlla nel modo più
profondo gli esseri umani, essendo tra gli esseri umani, opponendosi
agli esseri umani...
... A
causa della bellezza, lo spirito non conosce un momento di pace..."
Titolo: Colori Proibiti.
Autore: Yukio Mishima.
Editore: Feltrinelli.
Pagine: 479
Prezzo: 14,00.
Note: La traduzione è dal Giapponese. Il libro è corredato da un apparato di note puntualissime, che spiegano alcuni riferimenti ad opere e scrittori europei e giapponesi citati nel testo. Conclude un Glossario dei termini giapponesi lasciati in originali all'interno della traduzione.
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